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TESTIMONI DI GEOVA onlAIN by SAMUEL CAMPOCHIARO (AXL)

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Un intervista fatta a Gesù

Ultimo Aggiornamento: 27/11/2010 10:57
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27/11/2010 10:57
 
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Visto che sei tanto paziente con me, vorrei chiederti anche qualche delucidazione sulla parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14), an che perché tocca in profondità il nostro modo di pregare e di giudicare.

- Ti accontento subito. Il fariseo appartiene al partito dei buoni, dei giusti, scrupoloso osservante di tutte le prescrizioni della legge. Recita pre ghiere, fa digiuni, elemosine...

- Mi pare che il tuo giudizio sul suo operato sia molto severo.

- Dio non guarda all'esterno, ma scruta il cuore, il pensiero, le inten zioni che guidano ogni uomo nel suo agire. La facciata esteriore conta po co; sovente l'esemplarità serve a nascondere l'ipocrisia. Più volte ho dato giudizi taglienti contro questi «osservanti»: «Guai a voi, scribi e farisei, che osservate le prescrizioni più minute, e trascurate le cose più essenziali della legge: la giustizia, la misericordia, la fedeltà... Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che visti di fuori sembra no splendidi, ma dentro sono pieni di putredine...» (Mt 23.13-36).

- Ma, quale è stato il suo peccato per meritare di uscire dal tempio così duramente condannato?

- Hai fatto attenzione alla sua preghiera? Dopo aver enumerato tutti i suoi meriti, come se Dio non li conoscesse, conclude la preghiera dicendo: «Dio, ti ringrazio di non essere come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adul teri, oppure come questo pubblicano». Qui sta il veleno: la presunzione di giudicare gli altri, di sentirsi migliore di loro, l'aver accusato un fratello che non apparteneva alla sua casta, cordialmente disprezzato dai «puri», per ché non osservava i riti, le abluzioni che regolavano minuziosamente la vita del credente.

- Il pubblicano invece, «non osa neppure levare gli occhi al cielo, si ferma a distanza, si batte il petto dicendo: «Dio, sii clemente con me pec catore». E questo solo basta per mandarlo assolto?

- Sì, perché Dio conosceva la sincerità di quella preghiera, e per que sto ho concluso la parabola affermando: «Chi si esalta sarà umiliato, mentre chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14).

- Temo che anche noi, che frequentiamo la chiesa e recitiamo tante preghiere, potremo avere amare sorprese...!

- Non sono pochi i cristiani fedeli alle pratiche di pietà, generosi anche con le elemosine, perché il parroco lo pubblichi sul Bollettino. Quanti fari sei si sentono tranquilli, sicuri, ritenendosi diversi, migliori degli altri. È facile e comodo addossare alla politica, al governo, a chi ha potere, i molti mali del mondo, sentirsi a posto con Dio e con la propria coscienza, di menticando la grande solidarietà che esiste tra tutti gli uomini nel bene e nel male.

- Cosicché dobbiamo schierarci dalla parte del pubblicano, dichiararci colpevoli, tutti bisognosi di perdono?

- Sicuro; non dovete illudervi di essere a posto con Dio, solo perché avete fatto tante preghiere, partecipando a Messe, Comunioni, pellegrinaggi, processioni... Non dovete mai ritenervi migliori degli altri e neppure eguali, ma peggiori, schierati con i peccatori. Solo chi è povero diventa ric co, chi si batte il petto e riconosce la propria miseria fa parte della Chiesa dei santi!

Uno scomunicato in cattedra

- Una delle parabole più belle e convincenti è quella del buon samari tano (Lc 10,23-38), anche se mi pare un po' provocatoria.

- Tutti i miei insegnamenti mirano invitarvi ad un severo esame di co scienza, perché «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel re gno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio» (Mt 7,21).

- Mi pare non abbia risposto direttamente al dottore della legge che, per metterti alla prova ti aveva chiesto: - «Maestro, cosa devo fare per conseguire la vita eterna?».

- Era del tutto inutile una discussione dottrinale con uno che cono sceva bene la legge. Per questo ho preferito presentargli un fatto concreto, per far capire agli ascoltatori come dovevano comportarsi, cosa implica «amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi».

- La domanda di quel leguleio: «chi è il mio prossimo?» riguarda an che noi. Non è facile scegliere, fra tante persone che ci sono vicine, coloro che dobbiamo amare e aiutare di più. Ci sono parenti, amici, benefattori; persone di pelle, razza, religione diversa e ancora seccatori, antipatici, ignoranti, senza contare coloro che ci pestano i piedi: sono addirittura nostri nemici.

- Veramente ritengo che, per un cristiano, tutti gli uomini sono figli di Dio, miei fratelli. Ma il vero problema non è sapere chi è il vostro prossi mo, ma come farvi prossimo, andare incontro al fratello bisognoso di aiuto e di amore, come il povero viandante «che si era imbattuto nei briganti, i quali, spogliatolo e caricato di percosse, se ne andarono lasciandolo mezzo morto».

- Non hai un po' calcato la mano sul sacerdote e sul levita che gli passano accanto senza soccorrerlo? Erano due uomini addetti al tempio, e penso avessero buone ragioni per tirare diritto. Forse erano in ritardo, volevano evitare noie con le autorità, avrebbero insudiciato gli abiti rituali che indossavano... Chissà quanti di noi avrebbero fatto lo stesso, e lo fac ciamo ancora quando capita una disgrazia in cui non desideriamo essere coinvolti.

- Tutte ragioni che non scusano nulla, anzi diventano una colpa. La mancanza di amore verso chi soffre è il grande peccato di cui si macchia ogni, giorno l'umanità, e su questa mancanza di carità si farà il giudizio finale.

- Perché hai voluto affidare a un samaritano, un rinnegato e scomuni cato per il popolo d'Israele, il gesto di salvare la vita di quell'infelice?

- Io non guardo alle vostre disquisizioni, alla dignità e autorità di una persona: giudico il suo modo di comportarsi, la carità che esercita o rifiuta. Il samaritano non ha detto: - Non tocca a me, ho troppo da fare, si tratta di un ebreo che mi disprezza... Si è fermato, lo ha curato, lo ha condotto in una locanda, pagando perché fosse curato. Questo e solo questo è amore.

- Come si potrebbe imitare oggi il buon samaritano?

- I briganti sono cresciuti a dismisura, assaltano ogni giorno i loro fra telli, li spogliano di ogni diritto, persino della loro dignità; li lasciano mori re di fame o straziati dalla lebbra, come le persone di cui ti occupi con i tuoi benefattori. Oggi occorrono più che mai «samaritani», capaci di accostarsi a questi feriti nel corpo e nello spirito, disposti a piegarsi su di loro, curare le loro ferite, pronti a pagare di persona, perché sono io presente: persegui tato, ferito dalla malvagità umana, e «Qualunque cosa farete all'ultimo dei miei fratelli, lo riterrò fatto a me» (Mt 25,40).

Ricco ma miserabile

- Un'altra cosa che mi ha vivamente colpito, Signore, è la tua severità verso i ricchi: nella parabola del ricco epulone, lo hai condannato, senza attenuanti, all'inferno (Lc 16,13-26).

- Anzitutto occorre precisare che Dio non condanna mai nessuno. Ogni uomo, a qualunque razza appartenga, è creato per amore, destinato alla felicità eterna del cielo. L'oltraggio più grande che si possa fare a Dio è considerarlo un vendicatore, che gode far soffrire le sue creature, con dannandole all'infelicità per tutta l'eternità. Solo l'uomo che rifiuta fino all'ultimo istante il perdono, l'amore di Dio, si autocondanna all'esclusio ne dal paradiso.

- Però in quella parabola non mi pare che quel riccone, «che vestiva di porpora e bisso e ogni giorno banchettava splendidamente», fosse merite vole di un così tremendo castigo.

- Non ho enumerato tutte le colpe commesse, che le ricchezze offro no continuamente a chi le possiede; il suo torto più grave è stato la volontà di essere felice da solo, senza accorgersi di un fratello, il povero Lazzaro, che incontrava ogni giorno al portone, «coperto di ulcere e bramoso di sfa marsi con ciò che cadeva dalla sua tavola». Perfino i cani sentivano com passione per le sue sofferenze e «venivano a leccargli le ulcere».

- Ci sono anche altre affermazioni nel Vangelo circa la ricchezza che mettono in serio imbarazzo. Leggo in S. Matteo: «In verità vi dico: un ric co difficilmente entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio» (Mt 19,24).

- Certo, sono affermazioni che dovrebbero incutere paura. Il ricco crede di poter permettersi tutto, dominare cose e persone, soddisfare ogni desiderio, lecito e illecito. Non si rende conto come è solo un amministra tore di quanto possiede. Tutti i beni della terra sono doni di Dio, offerti a servizio di tutti gli uomini. La parola di Dio: «Quello che vi sopravvanza, datelo ai poveri», non è un'esortazione, ma un preciso comando. Ciò si gnifica che quanto non è necessario alla vostra vita, appartiene ai poveri, i quali hanno diritto di vivere, come tutti gli uomini, perché tutti figli dell'unico Padre dei cieli. Non si può accettare che in una famiglia ci siano dei figli che affogano nelle ricchezze, altri condannati a morire di fame, co stretti, come migliaia dei tuoi protetti, a frugare nelle immondizie per ci barsi di rifiuti.


- Allora non dobbiamo amare i ricchi?!

- Anzi, amarli più degli altri, perché sono i più poveri, i più bisognosi di aiuti e di amore. La più grande disgrazia per loro è non avere alcuno che li aiuti a convertirsi. Il silenzio di quanti vivono accanto a loro, soprattutto se hanno la missione di parlare, è un vero tradimento nei loro riguardi. «Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione! Guai a voi che ora siete sazi, perché patirete la fame! Guai a voi che ora ri dete, perché sarete nel dolore e nel pianto! (Lc 6,24-25).

- Cosa devono fare i ricchi per salvarsi?

- Considerare i poveri come i privilegiati nel regno di Dio: «Beati i po veri perché di essi è il regno dei cieli» (Lc 6,20). Aiutarli a uscire dal loro stato di indigenza e sofferenza, non come mezzo per salvarsi, ma come la via più breve per avvicinarsi a Dio, presente in ciascuno di loro, per cui da benefattori, diventino beneficati. Accostarsi a loro con fede e umiltà per onorarli, più che far loro la carità, sicuri che ogni dono offerto, assicura loro ricchezze infinite nel cielo.

Imparare dai ladri

- La parabola più sconcertante ritengo sia quella del fattore infedele (Lc 16,1-9), anche perché si ha la sensazione di una certa tua approvazione alle malefatte di quell'amministratore.

- Voi uomini avete una forte tendenza a interpretare male parole e comportamenti dei vostri simili. Quante persone indossano sempre oc chiali affumicati per il gusto di vedere tutto scuro! Per questo ho detto: «L'occhio è il lume del corpo. Se dunque il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se il tuo occhio è guasto, tutta la tua persona sa rà nelle tenebre» (Mt 6,22-23).

La mie parabole mirano tutte a insegnarvi il non facile mestiere di es sere e vivere da cristiani. Ma vediamo un po' quello che non ti convince.

- L'amministratore, chiamato a rendere conto al padrone della sua gestione, si accorge come i conti non tornino, e allora, nel timore di perde re il posto, cerca di trovare qualche amico che lo accolga in casa sua. Fatti venire i debitori, chiede al primo:

- Quanto devi al mio padrone? - Cento barili di olio.

- Bene, ecco qui la ricevuta: ne devi solo cinquanta.

A un altro, debitore di cento misure di frumento, dice: - Ecco qui la ri cevuta; ne devi solo ottanta.

E «il padrone lodò l'iniquo amministratore perché aveva agito con furbizia».

Questo proprio non va: lodare una persona disonesta, proporla come esempio da imitare...

- Non ho mai inteso lodare il suo operato, condannabile sotto ogni aspetto, ma sottolineare «i figli di questo mondo sono, nell'agire con i loro simili, più scaltri dei figli della luce». Questo è il significato della parabola.

Osserva quale polo di attrazione rappresentino gli interessi della terra: aziende industriali, commerciali, attività politiche, sportive, sprigionano nell'uomo energie incredibili per raggiungere posizioni di prestigio, accu mulare ricchezze, superare gli altri, conquistare primati di ogni tipo. Inve ce per i grandi ideali della giustizia, della pace, della libertà, per la diffusio ne del regno di Dio, mancano coraggio, intelligenza, inventiva, creatività. La più nobile delle cause annega in un mare di neghittosità e di apatia.

Uno dei grandi peccati è l'indifferenza. I cristiani non sono i custodi di un museo, ma i messaggeri, i testimoni di un messaggio che deve abbrac ciare il mondo intero. Pesa su di voi la responsabilità della salvezza di mi lioni di creature, che ancora non hanno incontrato l'unico liberatore e salvatore.

- Sicché l'ammirazione per l'amministratore infedele si risolve in un rimprovero al nostro quietismo. È vero: ci preoccupiamo che i nostri conti siano sempre in ordine, mentre tu sei preoccupato dei conti che non torna no. «E ho altre pecorelle che non sono del mio ovile ed è necessario che le conduca all'ovile» (Gv 10,16).

- Chi possiede la verità deve sentire costantemente il dovere di difen derla e di diffonderla. Questo è l'impegno primario che ho dato alla Chie sa, quindi a ciascuno di voi che ne siete parte integrante: «Andate in tutto il mondo, evangelizzate tutte le creature» (Mc 16,15). È comodo stare a guardare, fermarsi nelle retrovie, restare al sicuro.


I figli della luce hanno paura dell'avventura, temono di essere accusati come i primi cristiani, «uomini che hanno messo sottosopra il mondo (At 17,7).

- È vero! Chi manovra oggi i potenti mezzi di comunicazione, stam pa, cinema, radio, televisione? Il Cristianesimo è la più sconvolgente delle verità, ma è un tesoro nascosto. Solo pochi santi hanno avuto il coraggio, la fantasia di imboccare sentieri sconosciuti, lanciarsi in pazzesche impre se credendo alla tua promessa: «Io sono qui con voi fino alla fine del mon do» (Mt 28,20).
tratti dall'apologia
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Discendiamo all'inferno fin che siamo vivi (cioè riflettendo su questa terribile realtà) - diceva Sant'Agostino - per non precipitarvi dopo la morte".
nell'aldilà

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